CEMER - Centro Europeo per la Medicina e la Ricerca

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L'eccellenza medica al servizio della ricerca per la salute

Malattie a trasmissione materno-fetale

SARS-COV-2 in gravidanza

Effetti materni e neonatali da COVID-19

La trasmissione del SARS-COV-2 avviene mediante:

  • contatto con le goccioline di saliva provenienti da una persona infetta anche asintomatica
  • contatto con oggetti infettati cui si sono depositate goccioline di saliva
  • Il virus entra nel corpo tramite il contatto con bocca, naso e occhi.

 

La gran parte della letteratura scientifica si è focalizzata sugli effetti della COVID-19 rispetto alla popolazione generale mentre l’impatto di questa sulla gestante presenta ancora dati insufficienti e spesso incompleti.

Le donne in gravidanza presentano un maggior rischio di contrarre infezioni respiratorie virali e sviluppare polmoniti gravi, a causa dei cambiamenti fisiologici nel loro sistema immunitario e cardiopolmonare.

Le donne con altri problemi di salute, in particolare problemi polmonari, ipertensione, diabete, sovrappeso o HIV sono a maggior rischio di ammalarsi gravemente

I dati ad oggi disponibili dicono che:

  1. La maggior parte delle gestanti COVID+ presentano febbre, tosse e difficoltà respiratorie, affaticamento e dolori muscolari
  2. La gran parte al ricovero evidenzia alla TAC tipici segni di interessamento polmonare
  3. La frequenza di polmonite severa va dallo 0% al 14%
  4. Viene riportato un tasso di decessi del 2.2%
  5. Non sembra evidenziarsi incremento di eventi avversi nel corso della gestazione
  6. L’incidenza di diabete gestazionale, disturbi ipertensivi e pre-eclampsia non son0più alti tra le gestanti covid+ rispetto alle negative.
  7. sono stati segnalati tre casi di neonati risultati sierologicamente positivi per SARS‐CoV‐2 e un caso con positività nel liquido amniotico e nel tampone faringeo
  8. Quasi un terzo dei neonati viene trasferito all’unità di terapia intensiva neonatale (NICU), principalmente a causa della necessità di indagini e monitoraggio a seguito di infezione materna

Al momento, vi sono molte controversie relative alla possibilità di trasmissione verticale da madre a figlio del coronavirus. Infatti alcuni studi suggeriscono che non vi sia evidenza di trasmissione verticale nelle donne che hanno sviluppato polmonite COVID ‐ 19 nella gravidanza avanzata, mentre pochi riportano la possibilità di trasmissione verticale, basata sulla presenza di anticorpi IgM nel sangue neonatale e di anticorpi IgG che invece provengono per via transplacentare dalla madre.

Non vi sono al momento evidenze che dimostrino che la COVID-19 aumenti i rischi di difetti nel nascituro

La febbre alta intorno a 6 settimane di gravidanza o 4 settimane dopo il concepimento può associarsi con un maggior rischio di problemi cerebrali e alla colonna vertebrale.

Si raccomanda pertanto una valutazione ecografica accurata tra 19 e 22 settimane per verificare la presenza di questo tipo di problemi.

Il paracetamolo (tachipirina) è un farmaco sicuro durante la gravidanza in caso di febbre.

Alcuni studi hanno suggerito che il bambino potrebbe non crescere bene dopo un’infezione materna da COVID-19. Pertanto, la maggior parte degli esperti consiglia di effettuare almeno un controllo ecografico a circa 2-4 settimane dopo la fine dell’infezione per assicurarsi che il bambino stia crescendo bene. Si raccomanda, inoltre, di continuare a eseguire esami ecografici regolari almeno ogni 2-4 settimane durante la gravidanza per verificare il regolare sviluppo fetale.

Non ci sono ragioni al momento per scegliere un taglio cesareo al posto di un parto vaginale per una madre positiva al COVID-19, a meno che non esistano altre problematiche.

  • non annullare gli appuntamenti
  • avvalersi di consultazioni telefoniche o tramite videochiamata
  • Indossare sempre una mascherina
  • Informare preventivamente il medico o l’ostetrica in caso di tosse, febbre o mal di gola

Si dovrebbe porre massima attenzione al fine di evitare la trasmissione del virus al bambino. È importante lavare accuratamente le mani prima di toccare il bambino, evitando di toccargli il viso, di tossire o starnutire nelle vicinanze del neonato e indossare una mascherina quando ci si prende cura del bambino. Quando non ci si prende cura direttamente del bambino (ad esempio quando dorme), cercate di rimanere ad almeno 2 metri di distanza per ridurre il rischio di trasmettere l’infezione al bambino.

Ad alcune donne infettate dal virus è stato testato il latte e in questo non è stato rinvenuto alcun segno del virus. Quindi, sembra sicuro allattare il bambino anche se affette da COVID-19.

È consigliabile indossare una mascherina durante l’allattamento.

Per quanto riguarda la vaccinazione contro il COVID-19 in gravidanza e allattamento si riporta quanto indicato dall’Istituto Superiore di sanità:

Queste le indicazioni ad interim al 31 gennaio 2021:

  • le donne in gravidanza e allattamento non sono state incluse nei trial di valutazione dei vaccini Pfizer-BioNtech mRNA (Comirnaty), Moderna e AstraZeneca per cui non disponiamo di dati di sicurezza ed efficacia relativi a queste persone
  • gli studi condotti finora non hanno evidenziato né suggerito meccanismi biologici che possano associare i vaccini a mRNA ad effetti avversi in gravidanza e le evidenze di laboratorio su animali suggeriscono l’assenza di rischio da vaccinazione
  • al momento le donne in gravidanza e allattamento non sono un target prioritario dell’offerta di vaccinazione contro il COVID-19 che, ad oggi, non è raccomandata di routine per queste persone
  • dai dati dello studio ItOSS (Italian Obstetric Surveillance System) – relativi alla prima ondata pandemica in Italia – emerge che le donne in gravidanza presentano un rischio basso di gravi esiti materni e perinatali e che le comorbidità pregresse (ipertensione, obesità) e la cittadinanza non italiana sono significativamente associate a un maggior rischio di complicanze gravi da COVID-19.
  • la vaccinazione dovrebbe essere presa in considerazione per le donne in gravidanza che sono ad alto rischio di complicazioni gravi da COVID19. Le donne in queste condizioni devono valutare, con i sanitari che le assistono, i potenziali benefici e rischi e la scelta deve essere fatta caso per caso
  • se una donna vaccinata scopre di essere in gravidanza subito dopo la vaccinazione, non c’è evidenza in favore dell’interruzione della gravidanza
  • se una donna scopre di essere in gravidanza tra la prima e la seconda dose del vaccino può rimandare la seconda dose dopo la conclusione della gravidanza, eccezion fatta per i soggetti ad altro rischio
  • le donne che allattano possono essere incluse nell’offerta vaccinale senza necessità di interrompere l’allattamento.

Toxoplasmosi e gravidanza

Il Toxoplasma Gondii è un protozoo ubiquitario, parassita obbligato intracellulare che invade il citoplasma delle cellule nucleate. Il suo ciclo vitale comprende una fase asessuata negli animali a sangue caldo quindi mammiferi (uomo compreso) ed uccelli ed una fase sessuata che avviene solo nell’ospite definitivo, un felino. Quando si attiva la risposa immunitaria dell’ospite la moltiplicazione dei tachizoiti (forma asessuata) cessa e si formano le cisti tissutali che possono persistere per anni specialmente nei tessuti cerebrali e muscolari. La riproduzione sessuata del Toxoplasma si verifica solo nell’intestino dei gatti (ospite definitivo) e le oocisti che si formano vengono liberate nel terreno tramite le feci, potendo rimanere infette per circa un anno.

  • Ingestione di oocisti dalle feci di gatto è la più comune modalità di infezione orale.
  • Ingestione di cisti tissutali tramite assunzione di carne cruda o poco cotta generalmente di agnello, maiale o manzo
  • Trasmissione transplacentare
  • Sangue, emoderivati o trapianti d’organo da donatore sieropositivo.

L’infezione è solitamente asintomatica nella madre, quando sintomatica, la toxoplasmosi acuta può manifestarsi con una sindrome simil-mononucleosica con linfoadenopatia, febbricola, malessere, mialgie, epatosplenomegalia e faringite. Segni laboratoristici comuni sono la linfocitosi atipica, l’anemia moderata, la leucopenia, l’anemia ed alterazioni della funzionalità epatica.

L’infezione da Toxoplasmosi quando contratta in gravidanza (infezione acuta primaria) può manifestarsi come Toxoplasmosi congenita se avviene il passaggio transplacentare; il rischio di trasmissione materno fetale risulta essere più significativo con il progredire della gravidanza stessa (rischio maggiore di passaggio fetale se l’ infezione viene acquisita al terzo trimestre rispetto al primo trimestre). Il quadro clinico della toxoplasmosi congenita può essere estremamente variabile da un quadro apparentemente asintomatico alla nascita alla comparsa di ittero neonatale rasch ed epatosplenomegalia, o alla comparsa della tetrade caratteristica comprendente corioretinite bilaterale, calcificazioni cerebrali, idrocefalo (o microcefalia) e ritardo mentale fino al ritardo di crescita intrauterino ed all’aborto.

La diagnosi di infezione acuta primaria in gravidanza è su base sierologica; si dosano quindi IgM ed igG. Le IgM compaiono durante le prime 2 settimane di malattia con un picco massimo entro 4-8 settimane; la loro positività indica quindi infezione in atto. Le IgG compaiono più lentamente, raggiungono il massimo in 1-2 mesi e possono rimanere elevate e stabili per anni. In caso di positività di entrambe in fase iniziale di gravidanza può risultare utile il test di avidità delle IgG in quanto un’alta avidità ci esclude l’acquisizione dell’infezione nei precedenti 3 mesi, al contrario, una bassa avidità indica infezione recente. La positività della sierologia materna indica infezione acuta materna che non equivale a infezione fetale, perché può non avvenire il passaggio transplacentare.

Il regime terapeutico più efficace è l’associazione di Pirimetamina con Sulfadiazina. Tale trattamento è dimostrato ridurre significativamente l’infezione fetale in donne con infezione acuta primaria in gravidanza. Tuttavia tale associazione è da evitare nelle prime 14-16 settimane di gravidanza ed a ridosso del parto in cui può essere usato con sicurezza ed efficacia la Spiramicina che non attraversa la placenta.

Cara gestante in questo paragrafo troverà le norme igienico alimentari che potranno tornarle utili durante la gravidanza nel caso in cui lei non avesse già contratto la toxoplasmosi:

  • cuocere sempre molto bene le carni prima del consumo e avere cura di maneggiare la carne indossando i guanti o lavando accuratamente le mani dopo averla maneggiata
  • evitare il consumo di salumi crudi, frutti di mare crudi, uova crude
  • lavare accuratamente frutta e verdure prima del consumo indossando i guanti o avendo cura di lavare accuratamente le mani dopo aver toccato frutta e verdura
  • lavare accuratamente le mani, le superfici della cucina e gli utensili venuti a contatto con carni crude, frutta e verdure non lavate
  • usare sempre guanti di gomma in tutte le attività che possono comportare il contatto con materiali potenzialmente contaminati con le feci del gatto (giardinaggio, orticoltura, pulizia lettiera del gatto, ecc.)
  • evitare il contatto con i gatti e soprattutto con le sue feci, soprattutto se il gatto trascorre del tempo fuori casa
  • in caso di presenza di un gatto in casa: alimentare l’animale con cibi cotti o in scatola evitando che esca di casa, affidare ad altri la pulizia della sua cassetta, sostituire frequentemente (meglio se quotidianamente) la lettiera e igienizzare il contenitore per almeno 5’ con acqua bollente;
  • evitare viaggi al di fuori dell’Europa e del Nord America
  • eliminare dalla propria abitazione veicoli animali (mosche, scarafaggi, ecc.)

 

Se non eseguito in fase preconcezionale, lo screening sierologico per Toxoplasmosi va effettuato entro le 10 settimane di gestazione, non sono necessari ulteriori controlli sierologici al riscontro di positività per IgG e negatività per le IgM (infezione pregressa) se la ricerca viene eseguita prima della gravidanza o nelle prime 10 settimane di gestazione. Inoltre è opportuno differire di almeno 6 mesi la programmazione di una gravidanza in caso di diagnosi certa di infezione primaria da Toxoplasma gondii. In caso di IgG e IgM negative in gravidanza ripetere ogni 30-40 gg. fino al parto, controlleremo insieme le analisi ogni mese”.

Citomegalovirus e gravidanza

Il citomegalovirus è un virus a DNA che appartiene alla famiglia degli Herpesviridae e deve il nome alle caratteristiche grandi cellule con inclusioni intranucleari e citoplasmatiche. Come tutti gli Herpesvirus il CMV è capace di latenza e riattivazione.

La trasmissione del virus avviene mediante sangue, fluidi corporei (saliva, urine, sperma, liquido amniotico,) ed organi trapiantati. L’ infezione si può quindi acquisire per via sessuale, per via parenterale, tramite fomiti, per via transplacentare o al momento della nascita. Fattori predisponenti l’infezione risultano pertanto essere i luoghi affollati, il livello socio economico basso le scarse condizioni igieniche, un aumento del contatto con bambini piccoli ( tipica infezione delle maestre d’asilo e delle multipare) e l’allattamento prolungato.

La maggior parte delle donne che sviluppano un’infezione da CMV in gravidanza sono asintomatiche o sviluppano una sindrome simil Mononucleosica

INFEZIONE PERINATALE DA CMV:
Contratta per esposizione alle secrezioni cervicali infette durante il parto, al latte materno o tramite emoderivati. Sembra idea comune che gli anticorpi materni siano protettivi e che quindi la maggior parte dei neonati a termine siano asintomatici mentre i bambini prematuri con meno difese possono sviluppare una forma severe di infezione (polmonite, epatosplenomegalia, trombocitopenia e linfocitosi atipica).

si verifica nello 0.2-2.2 % dei nati vivi ed ha un ampio spettro di forme cliniche che vanno dalla sola citomegaloviruria (dall’eliminazione dei virus per via urinaria) all’aborto, alla natimortalità e alla morte post-natale per emorragia, anemia, danni epatici estesi. Può manifestarsi inoltre con ritardo di crescita, prematurità, microcefalia, ittero, calcificazioni periventricolari, corioretinite e prematurità. Solitamente deriva dall’acquisizione transplacentare di un’infezione primaria o ricorrente. Una malattia clinicamente evidente segue più frequentemente un’infezione primaria acquisita nella prima metà della gravidanza, le riattivazioni e/o re-infezioni sono meno frequentemente associate a malattia manifesta nel neonato. I neonati sintomatici hanno un elevato tasso di mortalità fino al 30 % e chi sopravvive può sviluppare sequele neurologiche come sordità, ritardo mentale e disturbi visivi. Inoltre anche il 10 % dei bambini asintomatici deve effettuare screening e controlli per un lungo periodo di temo in quanto può sviluppare sequele neurologiche tardive e/o divetti uditivi.

La diagnosi in gravidanza di infezione da CMV si effettua o tramite isolamento del virus o tramite test sierologici. Un’infezione primaria, in donne sieronegative, è di facile diagnosi sierologica, si ha infatti un positivizzazione delle IGM prima negative mentre le IgG a seconda di diversi fattori temporali possono ritrovarsi positive o ancora negative. Anche un aumento di 4 volte circa del livello di IgG specifiche anti-CMV possono indicare una nuova infezione e/o una riattivazione del virus. Il test di avidità delle IgG, in caso di positività delle IgM, viene utilizzato per capire temporalmente a quanto tempo prima risale la verosimile infezione. L’infezione nella donna in gravidanza non significa sempre passaggio transplacentare al neonato ed il passaggio transplacentare al feto-neonato non significa sempre infezione clinicamente manifesta nel feto-neonato. L’amniocentesi da effettuare dopo 5-6 settimane dalla sospetta infezione e dopo almeno 18-20 settimane di gravidanza (maturità dell’apparato renale fetale per l’eliminazione del virus con l’urina) può risultare utile per diagnosticare un eventuale passaggio transplacentare nel caso in cui venga ritrovato il virus nel liquido amniotico. Infine infezione neonatale congenita può essere diagnosticata isolando il virus da urine o da altri liquidi corporei del neonato entro le prime 2 settimane di vita; il suo isolamento dopo 2 settimane può significare infezione perinatale o congenita. I bambini possono mantenere il virus e continuare ad eliminarlo per molto tempo dopo l’infezione.

La paziente non immune per CMV deve adottare misure di prevenzione dell’infezione primaria da CMV da applicare fin da prima del concepimento e in gravidanza e sottoporsi durante la gravidanza allo screening sierologico mensile nonostante il Decreto Ministeriale DPR 245 del 10.09.1998 attualmente in vigore, non preveda la partecipazione del SSN ai costi delle prestazioni specialistiche riferibili all’infezione da CMV da eseguire pre e durante la gravidanza.

Poiché a tutt’oggi non è disponibile un vaccino per l’immunizzazione attiva della donna in età fertile, la prevenzione dell’infezione nella gravida può avvalersi unicamente di alcune norme igienico-comportamentali:

  • non condividere con i bambini cibo (es. non assaggiare la sua pappa con lo stesso cucchiaio), stoviglie (es. tazze, piatti, bicchieri, posate), biancheria (es. asciugamani, tovaglioli) e strumenti per l’igiene (es. spazzolino da denti);
  • non portare alla bocca ciò che il bimbo possa aver messo in bocca;
  • non baciare il bambino sulla bocca o sulle guance;
  • lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone dopo un contatto diretto con qualunque materiale organico (es. pulito il naso e la bocca del bambino, cambio del pannolino, maneggiato la biancheria sporca e i giocattoli);
  • lavare frequentemente giocattoli e superfici varie (es seggiolone, box, passeggino) con acqua e sapone.
  • I bambini che contraggono una infezione perinatale o postnatale da CMV eliminano il virus per parecchi mesi sia con la saliva che con le urine. Da ciò consegue che la trasmissione da bambino a bambino o da bambino ad adulto può avvenire con relativa facilità in tutte quelle occasioni in cui si verificano contatti stretti e prolungati con secrezioni infette (asili nido, scuole materne o in famiglia).

Inoltre, ad oggi, non è riconosciuta alcuna terapia dimostrata valida per le infezioni congenite o perinatali da CMV. Numerosi gli studi sull’utilizzo di Immunoglobuline Iperimmuni da somministrare alla mamma in maniera ciclica nel tentativo di ridurre il rischio di passaggio al feto-neonato o comunque di infezione manifesta nel neonato; ad oggi non riconosciute e quindi non utilizzabili come terapia standardizzata ma solo all’interno di protocolli di studio. Dimostrato, invece, che il Ganciclovir riduce la diffusione virale nei bambini con infezione congenita da CMV anche se quando si interrompe la terapia il virus diffonde nuovamente.

Rosolia e gravidanza

La Rosolia è una patologia causata da un virus del genere Rubivirus che è un virus a RNA appartenente alla famiglia dei Togaviridae. Il virus della rosolia invade le vie respiratorie superiori con conseguente viremia e diffusione in vari siti tra cui la placenta. Il virus nelle fasi iniziali della gestazione comporta un’ infezione cronica intrauterina con un’endotelite dei vasi sanguigni una citolisi diretta delle cellule ed un arresto nella mitosi cellulare.

La penetrazione del virus avviene attraverso le mucose delle vie respiratorie, e si moltiplica nella mucosa naso – faringea e nei linfonodi regionali. La viremia si ha dopo 7 – 10 giorni. L’eliminazione del virus avviene prevalentemente per via faringea ma è anche presente nel secreto congiuntivale, nelle urine e nelle feci. Il periodo di incubazione varia da 14 a 21 giorni. Il periodo di massima contagiosità varia da 2 – 3 giorni prima e a 2 – 3 giorni dopo la comparsa dell’esantema. Nella rosolia congenita i bambini continuano ad essere infettivi fin oltre il 18° mese dalla nascita. Le modalità di trasmissione sono: per via aerea, tramite Contaminazione mediante goccioline di fugge; per via indiretta, tramite oggetti contaminati di recente; e per via transplacentare, tramite infezioni congenite. I Soggetti colpiti hanno un’età compresa fra i 5 e i 14 anni e la stagione in cui si manifesta è la primavera.

L’infezione da rosolia nella donna gravida può essere asintomatica oppure caratterizzata da sintomi simil-influenzali come febbre, linfoadenopatie (suboccipitali ed auricolari posteriori), comparsa di rush eritematoso maculo-papulare infine possibile comparsi da artralgie o sintomi articolari fino a complicanze neurologiche (rare encefaliti) e trombocitopeniche.

Le conseguenze sul feto variano da morte intrauterina all’aborto all’isolata perdita di udito. L’entità del danno è variabile, e l’infezione placentare ed il passaggio del virus all’embrione avviene circa 10 giorni dopo il contagio. Durante la blastogenesi (fino al 18° giorno dopo la fecondazione) le infezioni determinano quasi sempre la morte. Durante la organogenetica (tra il 19° ed il 45° giorno) si verificano le lesioni gravi. Dopo il terzo mese l’incidenza è molto bassa. Le anomalie feto-neonatali più frequenti comprendono il ritardo di crescita intrauterino, meningoencefalite, cataratta retinopatia, perdita dell’udito, anomalie cardiache (dotto arterioso pervio ed ipoplasia dell’arteria polmonare), epatosplenomegalia, porpora trombocitopenica, eritropoiesi cutanea, adenopatie, polmonite interstiziale, ritardo mentale.

I test sierologici e le colture virali possono risultare utili nella diagnosi di infezione materna ed infezione congenita. Nel’ adulto il virus può essere isolato anche tramite tampone nasale o faringeo. Le prove sierologiche per fare diagnosi di infezione in gravidanza ricercano IgG ed IgM tramite prelievo ematiche. Si sospetta infezione materna dall’aumento di 4 o più volte del tasso di IgG specifiche tra i campioni prelevati in stato acuto ed in stato di convalescenza. La persistenza di IgG specifiche nel bambino dopo 6-12 mesi di età indica infezione congenita. Positivizzazione delle IgM indica infezione acuta in gravidanza. Infezione fetale può essere diagnosticata anche tramite isolamento del virus nel liquido amniotico prelevato tramite amniocentesi o mediante l’isolamento di IgM nel sangue fetale tramite cordocentesi o infine tramite tecniche di biologia molecolare applicabili alla villocentesi.

Il Vaccino è costituito da virus vivi attenuati (ceppo RA23/3) ed avviene per via sottocutanea. Tale vaccino è indicato per: donne in età feconda in genere prive di anticorpi e donne in età feconda particolarmente esposte al contagio (infermiere, medici, maestre, puericultrici ecc.) prive di anticorpi. Mentre tale vaccino non è indicato in presenza di: gravidanza, affezioni acute febbrili, malattie croniche debilitanti, leucemie ed altre affezioni maligne, deficienze Immunologiche e ipersensibilità ai componenti del vaccino. Per la rosolia materna o congenita non esiste alcuna terapia specifica ed efficace.

In epoca preconcezionale è bene identificare le donne suscettibili e provvedere alla vaccinazione mentre in gravidanza è bene valutare lo stato sierologico, identificare le suscettibili e provvedere al vaccino dopo il parto. La vaccinazione con vaccini combinati contro morbillo, rosolia e parotite (MPR) può essere effettuata a qualunque età. La vaccinazione con MPR è controindicata in gravidanza e l’intervallo raccomandato tra vaccinazione MPR e gravidanza è almeno un mese (28 giorni) consigliabili 3 mesi.

Varicella e gravidanza

La varicella è una malattia infettiva altamente contagiosa provocata dal virus Varicella zoster (Vzv), della famiglia degli Herpes virus. È annoverata tra le malattie contagiose dell’infanzia, che nella maggioranza dei casi colpiscono i bambini tra i 5 e i 10 anni.

L’uomo è l’unico serbatoio noto di questo virus: la malattia si trasmette quindi soltanto da uomo a uomo. L’infezione produce immunità permanente in quasi tutte le persone immunocompetenti: raramente una persona può sviluppare due volte questa malattia. Tuttavia, il virus non viene eliminato dall’organismo, ma rimane latente (in genere per tutta la vita) nei gangli delle radici nervose spinali.

La varicella è una delle malattie infettive più contagiose, soprattutto nei primi stadi dell’eruzione. La trasmissione da persona a persona avviene per via aerea mediante le goccioline respiratorie diffuse nell’aria quando una persona affetta tossisce o starnutisce, o tramite contatto diretto con lesione da varicella o zoster. La contagiosità inizia da 1 o 2 giorni prima della comparsa dell’eruzione e può durare fino alla comparsa delle croste.

Durante la gravidanza, il virus può essere trasmesso all’embrione o al feto attraverso la placenta.

Dopo un’incubazione di 2 o 3 settimane, la malattia esordisce con un esantema cutaneo (papule pruriginose che in 3-4 giorni evolvono in vescicole e poi croste a testa tronco viso ed arti), febbre non elevata e sindrome simil-influenzale.

La varicella è in genere una malattia benigna che guarisce nel giro di 7-10 giorni nel bambino. La malattia tende ad avere un decorso più aggressivo nell’adulto, e può essere particolarmente grave se colpisce persone immunodepresse.

Se la varicella viene contratta da una donna nella prima metà della gravidanza può trasmettersi al feto, causando una embriopatia (sindrome della varicella congenita). I bambini che sono stati esposti al virus della varicella in utero dopo la ventesima settimana di gestazione possono sviluppare una varicella asintomatica e successivamente herpes zoster nei primi anni di vita. Se invece la madre ha avuto la malattia da cinque giorni prima a due giorni dopo il parto, può verificarsi una forma grave di varicella del neonato, la cui mortalità può arrivare fino al 30%.

La varicella congenita comprende:

  • cicatrici cutanee a distribuzione dermatomerica
    • difetti oculari (cataratta, corioretinite e microftalmia)
    • ipoplasia degli arti
    • alterazioni neurologiche (microcefalia, atrofia corticale etc.)

La stragrande maggioranza dei dati pubblicati in letteratura ad oggi riporta un rischio di varicella congenita compreso tra 1-2% e probabilmente anche più basso.

La diagnosi clinica è altamente attendibile e la conferma sierologica non indispensabile ma effettuabile sempre tramite dosaggio ematico IgG ed IgM. In caso di infezione accertata nel corso della prima metà della gravidanza l’ecografia ostetrica è la metodica attualmente più indicata per monitorare le gravidanze a rischio per varicella congenita. Le metodiche di diagnosi prenatale invasiva (prelievo di villi coriali, amniocentesi e prelievo di sangue fetale) invece risultano poco utili nella valutazione del rischio di infezione congenita in quanto, la presenza del virus nei tessuti fetali non offre alcuna informazioni riguardo alla possibilità di danno.

Generalmente, la terapia è solo sintomatica. Per il prurito possono essere utilizzati antistaminici, mentre per la febbre il paracetamolo.

In generale, si consiglia di isolare i pazienti per evitare la diffusione del contagio. Dal 1995 è disponibile un vaccino, costituito da virus vivo attenuato. La vaccinazione è particolarmente indicata anche per le donne in età fertile sieronegative, per evitare un’eventuale infezione in gravidanza.

In caso di avvenuta esposizione alla varicella in gravidanza in donna sieronegativa, l’impiego di immunoglobuline specifiche (VZIG) può essere preso in considerazione fino a 10 giorni dopo il contatto. La somministrazione può essere dilazionata fino a conferma immunologica della mancata immunità. L’evidenza scientifica a favore di tale pratica è tuttavia modesta.

Non esistono ad oggi evidenze conclusive a favore dell’impiego neanche di farmaci antiretrovirali (Acyclovir) al fine di ridurre il rischio di varicella congenita. Tale pratica pertanto non è consigliata.